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Evolution without Selection – Antonio Lima De Faria

"I visionari non sempre hanno ragione. Ma senza di loro, non avremmo nemmeno le domande giuste. Lima-de-Faria, con il suo catalogo di meraviglie, ci ha regalato un tesoro: il dubbio fertile che trasforma il nostro sguardo sul vivente."


INTRODUZIONE: PERCHÉ LA MORFOLOGIA È IL NOSTRO CAMPO DI BATTAGLIA

Questa serie di tappe sta convergendo con crescente insistenza su un tema che pulsa sotto la superficie di ogni gesto terapeutico: la morfologia. Non il freddo inventario anatomico, ma la morfologia come fenomeno vivo – la traccia visibile di una storia di forze, il risultato dinamico di un dialogo infinito tra materia ed energia.

Per chi opera nella clinica manuale, questa non è teoria astratta. È la sostanza stessa del nostro lavoro. Tocchiamo forme che rispondono, manipoliamo strutture che si trasformano sotto le nostre mani. L'idea che il nostro intervento possa indurre cambiamento è il nostro postulato più intimo. Ma è proprio qui che si nasconde il rischio più sottile: intervenire sulla forma senza comprenderne la logica profonda è come tentare di riparare un orologio guardando solo le lancette. Se la forma fosse solo il prodotto finale di un'equazione risolta, saremmo ingegneri. Ma la forma vivente è l'istantanea di un processo che non si è mai fermato. È per questo che dobbiamo scavare più a fondo, oltre la superficie. Dobbiamo chiederci: da quali regole profonde è governata questa continua trasformazione?

Ed è qui che incontriamo uno dei pensatori più scomodi del Novecento, un uomo che osò sfidare il dogma evolutivo dominante con un catalogo di meraviglie geometriche: Antonio Lima-de-Faria. Il suo libro Evolution without Selection (Evoluzione senza selezione nella versione italiana con sottotitolo Auto-evoluzione di forma e funzione) non ci darà le risposte definitive, ma ci porrà le domande giuste – quelle che ancora oggi risuonano nella scienza e, a sorpresa, nella nostra pratica clinica quotidiana.


L'UOMO CHE COLLEZIONAVA COINCIDENZE IMPOSSIBILI (Il Grido dell'Eretico)

Immaginate uno scienziato che, nel 1988, si alza in piedi durante un congresso di biologia evolutiva e dichiara: «Tutto ciò che vi hanno insegnato sull'evoluzione è incompleto. La selezione naturale non è creatrice. È solo un giardiniere che pota rami già cresciuti».

Questa è l'essenza della provocazione di Lima-de-Faria. Con il termine "autoevoluzione", propone un'idea che suona quasi poetica nella sua radicalità: la materia vivente possiede una memoria strutturale, una tendenza intrinseca a organizzarsi secondo pattern geometrici universali.

"La materia è stanca di innovare", scrive in una frase che è diventata leggendaria. "Cerca, per inerzia fisico-chimica, le forme che già conosce."

Non è poesia, ma un'intuizione fisica tradotta in linguaggio biologico: esistono configurazioni preferenziali verso cui i sistemi complessi tendono naturalmente, attratte da una logica di efficienza energetica e stabilità strutturale che trascende la biologia stessa.

Il Metodo del Collezionista Ipnotico

Ma Lima-de-Faria non è un filosofo. È un collezionista ossessivo. E la sua collezione è fatta di corrispondenze geometriche che lasciano a bocca aperta.

Apriamo il suo catalogo:

  • La Pagina delle Spirali. Sfogliandola, troviamo la stessa curva elegante che descrive: una galassia a milioni di anni luce, un vortice in un ruscello, la conchiglia del nautilus che cresce in profondità oceaniche, i semi di girasole disposti con precisione matematica. La spirale logaritmica è la soluzione universale a un problema universale: come crescere esponenzialmente senza sprecare spazio.

  • La Pagina delle Ramificazioni. Qui la natura si ripete con imbarazzante fedeltà: i dendriti di un neurone cercano connessioni, i capillari cercano ossigeno, i rami di un albero cercano luce, un fiume cerca il mare. Tutti risolvono lo stesso problema ingegneristico: connettersi in modo ottimale in uno spazio tridimensionale.

  • La Pagina degli Esagoni. L'ape costruisce il suo favo, la lava basaltica si raffredda in colonne, le cellule epidermiche di una foglia si impacchettano. Tutti cercano la stessa cosa: massimizzare l'area utile minimizzando il materiale di confine.

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L'effetto cumulativo è ipnotico. Pagina dopo pagina, Lima-de-Faria costruisce non una teoria, ma un catalogo di meraviglie. Un museo di coincidenze troppo perfette per essere casuali. Il suo messaggio implicito è potente: se la selezione naturale fosse l'unico architetto, lavorando su materiale passivo e contingente, perché ritrovare le stesse forme in contesti così diversi? Forse la materia stessa ha qualcosa da dire sulla forma che dovrebbe prendere.



PERCHÉ LO RESERO EROE SENZA UNA CAUSA - (La critica)

La comunità scientifica reagì come ci si aspetterebbe davanti a un eretico: con un rifiuto cortese ma fermo. Non per cattiva volontà, ma perché Lima-de-Faria, nel suo entusiasmo visionario, aveva commesso quello che in gergo scientifico si chiama un errore di categoria.

Confondere la Fisica con la Biologia. Il suo peccato originale fu il riduzionismo fisicalista. Trattava l'embrione come un cristallo che cresce, dimenticando che prima di essere un sistema fisico, è un sistema informazionale. Sottovalutò completamente la complessità dei network genetici, la plasticità fenotipica, il ruolo della storia contingente. Per lui, il DNA sembrava quasi un dettaglio in una storia scritta principalmente dalle leggi della termodinamica e della cristallografia.

La sua critica al "pan-selezionismo" – l'idea che ogni tratto biologico sia un adattamento ottimale – era condivisibile (altri, come Gould e Lewontin, lo facevano già). Ma Lima-de-Faria fece il salto pericoloso: se la selezione non spiega tutto, allora non spiega quasi nulla. Ridusse il motore dell'evoluzione a un ruolo di comparsa, negando la sua forza modellatrice nell'evoluzione di strutture complesse e co-adattate.

Il Linguaggio del Profeta.

Poi c'era il problema del linguaggio. Termini come "propensioni", "tendenze", "memoria della materia" suonavano sospettosamente finalistici, quasi vitalistici, alle orecchie di biologi molecolari che volevano pathway, geni, meccanismi. Mentre loro scoprivano i dettagli dei gradienti di morfogeni e dei geni omeotici, Lima-de-Faria parlava ancora in metafore.

Infine, la sua visione suggeriva un'evoluzione troppo deterministica, quasi predestinata. Contrastava violentemente con l'evidenza della contingenza storica – l'idea, resa celebre da Gould, che se potessimo riavvolgere il nastro della vita, probabilmente non rivedremmo mai gli stessi percorsi evolutivi. Per queste ragioni, Evolution Without Selection fu archiviato come curiosità eretica, un vicolo cieco intellettuale. Troppo determinista, ma come spesso accade con i visionari, seppellire il messaggero non significa uccidere il messaggio.


LA RINASCITA SOTTERRANEA

La vera prova di un'idea non è la sua accettazione immediata, ma la sua capacità di riemergere trasformata in nuovi contesti. Lima-de-Faria, senza saperlo, aveva seminato domande che altri avrebbero coltivato con strumenti migliori.

L'Evo-Devo: La Scienza che Diede un Nome alle Sue "Propensioni"

Negli anni '90 esplode la Biologia Evoluzionistica dello Sviluppo (Evo-Devo), che pone esattamente la domanda di Lima-de-Faria: non solo perché certe forme sopravvivono, ma come si generano le forme tra cui la selezione sceglie?

Ecco che le sue intuizioni trovano traduzione scientifica:

  • Le sue "propensioni" diventano i "vincoli dello sviluppo" – limiti fisici, genetici e storici che canalizzano l'evoluzione lungo percorsi preferenziali.

  • La sua idea di forme che "emergono da sole" trova conferma nei pattern di auto-organizzazione (come le strisce di un pesce che emergono da semplici reazioni chimiche diffuse).

  • La sua ossessione per le ripetizioni si ritrova nell'omologia profonda – gli stessi geni (come i geni Hox) usati per costruire strutture diverse in animali diversi.

Il Trionfo del Network: Quando l'Anatomia Diventa una Mappa

Ma la rivoluzione più elegante viene dalla scienza delle reti. Ricercatori come Rui Diogo iniziano a trattare l'anatomia non come lista di parti, ma come sistema di connessioni.

La scoperta è illuminante: ciò che è più conservato nell'evoluzione non sono le ossa (i "nodi"), ma lo schema delle connessioni tra muscoli (gli "archi"). La rete muscolare del braccio è sorprendentemente simile in un uomo, una lucertola e una balena, anche se le ossa sono radicalmente cambiate.

Questa è la realizzazione perfetta dell'intuizione di Lima-de-Faria: esiste una grammatica strutturale della connessione che persiste mentre le parti si trasformano. L'evoluzione non inventa nuove reti da zero, ma ri-modula reti esistenti.

La Meccanobiologia: La Materia che "Parla" Davvero

Forse il ponte più diretto tra la visione metaforica di Lima-de-Faria e la realtà concreta delle strutture viventi è proprio la meccanobiologia. Mentre lui parlava di materia con "propensioni" e "inerzia fisico-chimica", questa disciplina mostra come tali metafore si incarnino in circuiti molecolari precisi e misurabili.

La rivelazione è affascinante: le cellule possiedono un senso del tatto sofisticatissimo che trasforma le forze fisiche in istruzioni biologiche:

  • Le integrine fungono da veri e propri "palpatori molecolari", sentendo la rigidità e la tensione della matrice extracellulare.

  • I pathway YAP/TAZ agiscono come traduttori cellulari, convertendo la deformazione meccanica in segnali che accendono o spengono geni.

  • Questo spiega fenomeni come la Legge di Wolff non come una "tendenza" misteriosa dell'osso, ma come il risultato di un ciclo di feedback perfettamente regolato: carico meccanico → percezione cellulare → attivazione genica → deposizione di matrice → cambiamento strutturale → nuova distribuzione del carico.

Questa è l'"autoevoluzione" resa operativa: non una forza metafisica, ma un dialogo fisico-chimico continuo tra cellule e il loro ambiente meccanico. La materia "cerca" configurazioni stabili perché le sue unità costitutive sono programmate per rispondere alle forze in modo costruttivo. La forma che osserviamo è il registro visibile di questa conversazione infinita.


IL CLINICO E IL COLLEZIONISTA – QUANDO LA TEORIA DIVENTA PRATICA

La vera sorpresa, per chi si occupa di terapia manuale, è scoprire che questo libro apparentemente astratto parla direttamente della nostra pratica quotidiana. Le sue intuizioni si traducono in concetti operativi potentissimi.

La Memoria che Tocca con le Mani

Quando Lima-de-Faria parlava di "memoria della materia", descriveva ciò che noi tocchiamo ogni giorno: la memoria meccanica dei tessuti. La fascia toracolombare con i suoi strati incrociati non è un disegno casuale; è la cristallizzazione fisica di una storia di torsioni tra torace e bacino. Un legamento dopo una distorsione guarisce, ma la sua nuova trama di fibre è una memoria incarnata del trauma. Il nostro lavoro di rilascio miofasciale non è "rompere aderenze", ma offrire al tessuto informazioni meccaniche nuove che gli permettano di riscrivere, almeno in parte, quella memoria.

L'ossessione di De Faria per gli isomorfismi ci fornisce una lente diagnostica potentissima. Nel corpo umano, gli isomorfismi sono le catene cinetiche:

Lo scheletro policonnettivale (Della Posta, Paternostro, Stecco) rappresenta un isomorfismo funzionale perfetto: dalla pianta del piede al cranio, un'unica autostrada di trasmissione della tensione, così come

Un dolore alla spalla smette di essere un problema locale quando lo vedi come l'epifenomeno terminale di un pattern isomorfo di compensazione che segue quella linea.

Il Network che Guida la Nostra Mano

Ed è qui che la scienza delle reti incontra la nostra clinica. Il corpo è un network osteo-mio-fasciale, e i suoi nodi non sono tutti uguali:

  • Alcuni sono hub locali (vertebre, sterno) – densamente connessi, distribuiscono forze.

  • Altri sono ponti critici (omero, tratto ileotibiale) – collegano regioni distanti.

  • Altri sono nodi sistemici (vertebre lombari, sacro) – trasmettono informazioni rapidamente a tutto il sistema.

Una disfunzione in un nodo-ponte può scollegare interi moduli funzionali. Una restrizione in un nodo sistemico può perturbare la coordinazione globale. Comprendere questa architettura significa sapere dove mettere le mani non per caso, ma perché si è compresa la logica della rete.

La Terapia come Dialogo Trasduttivo

Infine, il concetto più bello: la trasduzione morfologica. Lima-de-Faria intuiva che la forma si trasforma rispondendo a segnali. Oggi sappiamo che le cellule traducono continuamente forze meccaniche in segnali biochimici. Quando applichi una mobilizzazione articolare delicata o un carico progressivo, non stai semplicemente "allungando". Stai inviando un messaggio meccanico preciso che le cellule traducono in istruzioni per riparare, riallineare fibre, modulare l'infiammazione. Il tuo tocco è linguaggio. La risposta dei tessuti è una conversazione.

Nella Comunicazione Morfologica attivata con le tecniche KNT, questo diventa esplicito: la mano che chiede "spingi" al piede non dà un comando. Lancia un'esplorazione. La forza risale lungo le catene, modulata da ogni variazione tissutale, e il corpo risponde generando una nuova configurazione possibile. È un esperimento di auto-riorganizzazione in tempo reale.

Espandere lo Spazio del Possibile: La Clinica Come Esplorazione Morfologica

L'ultima eredità di Lima-de-Faria è forse la più profondamente umana: il concetto di "spazio morfologico". In evoluzione, rappresenta l'insieme di tutte le forme anatomiche possibili, delimitato dai vincoli della fisica e dello sviluppo. Nella nostra stanza di terapia, questo concetto si trasforma in qualcosa di tangibile: lo spazio delle strategie motorie e delle configurazioni posturali possibili per quel paziente, in quel momento. Immaginate questo spazio non come un'astrazione, ma come una stanza buia. Il paziente con dolore cronico non si muove liberamente al suo interno. È come se portasse una torcia che illumina solo un angolo stretto – l'unica posizione o il solo pattern di movimento che il suo sistema neuromuscolare riconosce come "sicuro", anche se disfunzionale e doloroso. Ogni tentativo di uscire da quell'angolino illuminato scatena l'allarme del dolore. Il sistema si è cristallizzato in una soluzione protettiva che è diventata una prigione. Il nostro compito non è trascinarlo a forza in un altro punto della stanza che noi riteniamo "ideale", ma molto più rispettoso e biologicamente sensato se ci limitiamo ad allargare gradualmente il fascio di luce della torcia. Come?

  • Attraverso il carico progressivo che, come un input meccanico preciso, "istruisce" i tessuti che nuove direzioni di movimento sono accessibili e sicure.

  • Attraverso la corretta attivazione della comunicazione morfologica che, con un contatto leggero e un invito all'esplorazione, permette al sistema nervoso di "assaggiare" micro-variazioni del pattern esistente senza attivare la paura.

  • Attraverso la rieducazione propriocettiva che riaccende le mappe corporee dimenticate.

Non stiamo correggendo. Stiamo facendo da testimoni e facilitatori mentre il paziente, guidato dalla saggezza del suo stesso sistema, riscopre che la stanza è più grande di quanto ricordasse. Che può appoggiare il peso in modo diverso, che può ruotare il bacino senza che il dolore lo blocchi, che può respirare naturalmente senza dover forzare la dinamica costale.

In questo processo, la metafora dello "spazio morfologico" cessa di essere una teoria. Diventa l'esperienza concreta di un corpo che, liberato dalla minaccia immediata, ricomincia a esplorare il proprio repertorio di possibilità. E in quell'esplorazione – in quel ritrovato "dialogo" tra intenzione, struttura e ambiente – risiede il vero cambiamento terapeutico. Non imponiamo una nuova forma; favoriamo la rinascita della plasticità della forma.


CONCLUSIONE: PERCHÉ LEGGERE ANCORA UN LIBRO "SBAGLIATO"

Evolution Without Selection non è un manuale. È un monumento alla curiosità ostinata, l'opera di un collezionista che vide connessioni dove altri vedevano solo dati separati. Lima-de-Faria si sbagliava su quasi tutto quello che propose come spiegazione, ma aveva ragione sulle domande. Aveva ragione a insistere che le ripetizioni geometriche nella natura erano un enigma troppo grande per l'adattazionismo semplice darwinista. Aveva ragione a sospettare che la materia vivente avesse una sua "inerzia", una tendenza a cercare certe configurazioni. La sua eredità più profonda, oggi, sta proprio nel mettere in luce l'incompiutezza di una visione puramente selettiva. In sostanza, anche se la teoria sintetica o neo-darwinista dell'evoluzione rimane un pilastro, le ricerche in corso sui sistemi complessi indicano con forza che essa rimarrebbe profondamente incompleta se venissero ignorati i fenomeni di auto-organizzazione.

Lima-de-Faria, nel suo estremismo, ha costretto il pensiero evolutivo a fare i conti con questo dilemma.

Come nota il volume Darwinism Evolving di Depew e Weber, per approfondire la relazione tra auto-organizzazione e selezione si aprono oggi diverse opzioni di indagine:

  • Che la selezione e l'auto-organizzazione non abbiano alcuna relazione (posizione ormai minoritaria).

  • Che l'auto-organizzazione svolga solo un'azione ausiliaria alla selezione.

  • Che l'auto-organizione ponga vincoli che guidano e canalizzano i processi evolutivi (la posizione più promettente dell'Evo-Devo).

  • Che la selezione sia in grado di generare auto-organizzazione.

  • Che selezione e auto-organizzazione siano aspetti di un unico processo integrato.

Ciascuna di queste opzioni ospita posizioni teoriche in competizione, ed è proprio in questo dibattito vibrante che l'intuizione di Lima-de-Faria, depurata dal suo determinismo estremo, trova nuova vita. La domanda non è più se l'auto-organizzazione conti, ma come essa interagisca dialetticamente con la selezione per produrre la stupefacente diversità della forma vivente.

Leggerlo oggi significa quindi accedere non a una teoria, ma a uno stato mentale: quello di chi guarda la forma e si chiede "perché proprio così?". Per il clinico, questo stato mentale è indispensabile.

Perché quando tocchi una lordosi lombare, non stai toccando un "difetto". Stai toccando la soluzione di equilibrio che un sistema complesso ha trovato per gestire una storia di carichi, traumi e adattamenti – una soluzione nata dall'intreccio di vincoli auto-organizzativi e pressioni selettive. Stai toccando l'istante di una conversazione iniziata miliardi di anni fa, quando le leggi della fisica incontrarono la possibilità della vita.

Il suo libro, con tutti i suoi errori, rimane una lezione di umiltà intellettuale: a volte, per fare un passo avanti, bisogna avere il coraggio di sbagliarsi in modo interessante e a volte, le domande di un eretico sopravvivono alle risposte ortodosse, indicando la strada per una sintesi più ricca e complessa.

Ma come osservare questa conversazione in diretta? Come vedere la forma che nasce, che si trasforma, che risponde? Per farlo, dobbiamo entrare nel laboratorio più affascinante: l'embrione in sviluppo. Anticipiamo così che la prossima tappa avremo come guida un uomo che vide la fisica dove altri vedevano solo il destino: Erich Blechschmidt e i suoi campi morfocinetici.




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