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UNA VISIONE EMBODIED DEL DOLORE

Premessa

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Il tema del dolore senza danno continua ad accendere reazioni contrastanti. Non mi stupisce: è uno di quei nodi che toccano non solo la clinica, ma anche la nostra idea di realtà, di corpo e di verità osservabile. Personalmente, sono favorevole a una visione complessa e reticolare dell’esperienza dolorosa, in cui ciò che si sente non dipende esclusivamente da ciò che si rompe. Il dolore è sempre soggettivo, non solo perché vissuto, ma perché costruito nella relazione tra corpo, storia e contesto, in una dinamica di embodiment che rende la percezione inseparabile dall’azione e dal significato attribuito al corpo stesso. Per questo motivo non può mai essere giudicato dall’esterno: va ascoltato dentro il racconto di chi lo vive, non cercato solo nei referti.

Fisiopatologia

Non si tratta soltanto di opinioni.

Negli ultimi anni, numerosi studi hanno mostrato che i tessuti periferici possono modulare attivamente la risposta nocicettiva attraverso interazioni locali con cellule immunitarie e segnali chimici, indipendentemente dalla trasmissione centrale (Li et al., 2025; Jain et al., 2024; Liu et al., 2025). In altre parole, non tutto si decide nel cervello: la periferia è tutt’altro che passiva, e la sensibilizzazione può nascere anche al di fuori dei circuiti centrali. Questo rende la rete del dolore ancora più ampia, dinamica e difficile da catturare con una sola lente

A questa complessità fisiologica si affianca una riflessione di natura epistemologica. Il fatto che oggi non si riesca a individuare un danno con certezza non implica che non vi sia alcuna alterazione. In molti casi si tratta di microdanni tissutali non rilevabili con le metodiche standard, oppure di disorganizzazioni fasciali, perturbazioni neuroimmunitarie, somatizzazioni legate a conflitti psicosociali profondi, o ancora di una disorganizzazione nella comunicazione morfologica tra le parti del corpo. Quando la forma corporea perde la sua capacità di trasmettere tensioni, intenzioni e adattamenti in modo armonico, anche in assenza di una lesione evidente può emergere dolore. La nostra capacità di osservazione è sempre limitata dagli strumenti di cui disponiamo, tanto dal punto di vista tecnologico quanto da quello concettuale. In questo contesto, educare al dolore non significa ridurlo a un errore da correggere, né tentare di neutralizzarlo con spiegazioni banali. Significa piuttosto offrire al paziente gli strumenti per comprendere e riorganizzare la propria esperienza corporea, integrando ciò che sente con ciò che vive e con ciò che può fare. Moseley et al. (2025) descrivono l’educazione al dolore più efficace come un processo che non si limita alla trasmissione di informazioni cognitive, ma si fonda su significati condivisi, contesti vissuti, narrazione e relazione. Anche la recente riflessione bioetica di Gabathuler et al. (2025) richiama l’attenzione sul rischio di ingiustizia epistemica: negare validità all’esperienza del paziente solo perché non supportata da un riscontro strumentale significa escludere una fonte legittima di conoscenza.

Conclusioni

Per me, quindi, il punto non è negare il danno, ma riconoscere che non tutto il dolore può essere spiegato attraverso ciò che oggi siamo in grado di rilevare. Esistono disfunzioni corporee reali che non producono immagini visibili né alterazioni evidenti, ma che interferiscono con l’organizzazione del movimento, con la regolazione di processi fisiologici e con l’esperienza soggettiva del corpo. Il dolore trasmette sofferenza anche attraverso forme che non coincidono con il danno o che comunque non sono sempre danni visibili, e proprio per questo richiede un pensiero clinico capace di tenere insieme il vissuto, la funzione e la morfologia. Non si tratta di abbandonare il rigore, ma di estenderlo oltre i limiti attuali dell’evidenza strutturale.

Referenze:

– Li et al., Pain, 2025 – DOI: 10.1097/j.pain.0000000000003512

– Jain et al., Nature Immunology, 2024 – DOI: 10.1038/s41590-024-01857-2

– Liu et al., Brain Research Bulletin, 2025 – DOI: 10.1016/j.brainresbull.2025.111470

– Moseley et al., Frontiers in Pain Research, 2025 – DOI: 10.3389/fpain.2025.1536112

– Gabathuler et al., Journal of Bioethics, 2025 – DOI: 10.1007/s11673-025-10457-0

 
 
 

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